Metal Gear Solid: il fantasma di una missione virtuale

Proprio in queste ore, il mondo sta acclamando l’uscita del discusso quinto capitolo della saga di Metal Gear Solid, chiamato Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, opera ultima del maestro Hideo Kojima prima del suo addio ufficiale in casa Konami, dopo i ben noti dissapori che hanno portato al licenziamento (o sarebbe meglio dire auto-licenziamento) del celebre game designer giapponese. Ma molto prima di questo evento, la saga di MGS ha dato il via a decine di questioni e polemiche accesissime sui contenuti condivisi da Kojima e dal suo team creativo. Impossibile non ricordare più di ogni altro capitolo della saga il controverso Metal Gear Solid 2 Sons Of Liberty, sicuramente l’opera più complessa e metaforica di Hideo, in cui ritroviamo tutta la sua capacità di coadiuvare realtà e finzione con una dose realmente sorprendente di riferimenti metareferenziali, capaci di bucare tanto lo schermo quanto le certezze del videogiocatore.

La tematica principale di MGS2 riguarda proprio il rapporto tra vita reale e vita virtuale nella società contemporanea occidentale, più precisamente il “mondo digitale” illustrato dal Colonnello Campbell. Kojima gioca abilmente con la realtà virtuale, e lo fa proponendoci un protagonista (Raiden) reduce da un addestramento VR di oltre 300 missioni, che soppianta in tutto e per tutto l’esperienza sul campo “tradizionale” del veterano Solid Snake, il personaggio principale della serie che in MGS2 guadagna un ruolo secondario e assolutamente simbolico.

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Il Colonnello crede totalmente nell’addestramento virtuale e chiunque non ne fa parte è semplicemente un elemento “ignoto” e di disturbo. La Realtà Virtuale come mezzo di narrazione e informazione? Assolutamente si: MGS2 è un videogioco e come tale una simulazione di una realtà, con un protagonista addestrato in VR sempre in bilico su cosa sia reale e cosa no. Nella sequenza di gioco in cui Raiden si risveglia sull’Arsenal Gear, Liquid Ocelot e Olga lasciano intendere che tutta l’esperienza vissuta faccia parte di una simulazione chiamata S3: in MGS2 il protagonista della vicenda scopre quindi di essere rinchiuso in un addestramento in RV. Raiden è imprigionato in un mondo virtuale e le incongruenze del testo (riscontrabili nelle numerose e interminabili conversazioni al CODEC) erano solo un malfunzionamento dell’intelligenza artificiale dell’Arsenal. Per Raiden, quindi, la verità è solo ed esclusivamente quella fittizia di una realtà virtuale, mentre per il giocatore si tratta semplicemente di una finzione rigorosamente narrativa: “S3 non sta per Solid Snake Simulation ma per Selezione per lo Sanità Sociale. L’ S3 è un sistema per controllare lo volontà e lo coscienza dell’uomo, L’ S3 non sei tu, un soldato addestrato per essere come Solid Snake, è un metodo, un protocollo, che ha creato delle circostanze che ti hanno reso quello che sei.

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Il discorso metareferenziale che abilmente si insinua in tutta l’esperienza di Metal Gear Solid 2 Sons Of Liberty arriva a interpellare direttamente il giocatore, creando l’illusione che un videogame sia davvero in grado di studiare ed analizzare l’utente, facendolo sentire protagonista in prima persona di quello che gli sta accadendo, proprio come fosse una realtà parallela. O meglio, una realtà virtuale. E se ormai MGS2 parla col linguaggio di una preistoria videoludica di ben 14 anni fa, chissà se il futuro potrà riservarci un nuovo tipo di “meta-narrazione” proprio grazie all’ausilio e alla potenza di Oculus Rift e derivati. Un nuovo tipo di approccio al videogioco, totalmente immersivo, vorrà dire anche un nuovo tipo di narrativa interattiva. Questo perché: “Quello che pensi di star vedendo è vero quando il cervello ti dice che è vero“.  La reale domanda che ci poniamo sorge quindi spontanea: di che cosa è fatta la verità?