Stellar Blade Speciale: scavando nelle fondamenta di una IP di successo

Stellar Blade opera prima dello studio coreano SHIFT UP Corporation, nasce da un mix ambizioso: tematiche esistenziali ispirate alla Bibbia e alla ricerca dell’identità umana, un’ambientazione cyberpunk dalle tinte post-apocalittiche, e un sistema di combattimento spettacolare, modellato dichiaratamente su titoli come NieR: Automata, Sekiro e Bayonetta. Il mondo di gioco prende forma da influenze visive e narrative tratte dalla fantascienza degli anni ’80 e ’90, con Alita: Battle Angel come riferimento chiave per stile e atmosfera. Particolare attenzione è dedicata alla verticalità degli scenari: gli ambienti sono progettati per consentire al personaggio di arrampicarsi e muoversi agilmente su più livelli, offrendo così una sensazione di libertà e dinamicità nella navigazione.

Stellar Blade è un action game che combina un combattimento dinamico e spettacolare con un’esplorazione ambientale ricca e soddisfacente per chi ne esplora ogni anfratto, visti i numerosi segreti e power up sparsi. Al centro dell’esperienza c’è un sistema di combattimento fluido, che permette al giocatore di eseguire combo complesse e utilizzare una varietà di armi e abilità speciali per affrontare nemici di diversa natura, spesso imponenti e impegnativi.

Oltre all’azione frenetica, integra sapientemente elementi di altri generi, spaziando dallo stealth allo sparatutto in terza persona, passando per puzzle ed enigmi matematici disseminati nel corso dell’avventura. Non mancano poi le sezioni platforming, che si presentano con regolarità lungo il percorso, arricchendo ulteriormente la varietà dell’esperienza. Tra i numerosi elementi derivativi, uno particolarmente evidente è il “parry” in stile Sekiro: questa meccanica, se padroneggiata, consente di sbilanciare l’avversario dopo una serie di colpi deviati con successo, aprendo la strada a un attacco speciale devastante. Sebbene non sia indispensabile per superare la maggior parte dei nemici e dei boss, chi ne affina l’uso scopre un potere letale e decisamente impressionante.

La versione PC di Stellar Blade si rivela una conversione sorprendentemente curata, eccellente sotto ogni punto di vista. La realizzazione tecnica impeccabile, già un pregio dell’originale, si conferma un indiscutibile punto di forza del gioco. A questa solida base si aggiunge il tentativo lodevole di variare costantemente struttura e gameplay per evitare la monotonia, dall’introduzione di piccoli enigmi a trasformazioni in sezioni open map o segmenti di puro shooting senza spada, e la costante introduzione di nuove meccaniche e abilità.

L’esperienza generale ne benficia, anche se nessuna di queste meccaniche è realmente approfondita, dando al tutto un tono generico ed un po’ superficiale.  Il gioco mette tanta carne al fuoco: tra le innumerevoli citazioni e omaggi, ho avuto forte l’impressione che manca però di proporre qualcosa di genuinamente proprio. A conti fatti, le idee originali sono poche, sempre e solo abbozzate e mai sviluppate verso il loro pieno potenziale, rielaborando meccaniche e ambientazioni prese in prestito altrove e dannandosi alla ricerca di un’identità che non trova.

Anche la scrittura si rivela debole, una rilettura di un tema, la natura dell’umanità, narrato in modo più interessante da altri progetti. La trama si sviluppa in modo prevedibile, e l’inserimento in alcune quest secondarie, già nel primo terzo di gioco, che anticipano e rovinano uno dei colpi di scena principali, è una scelta del tutto inspiegabile che mina l’impatto narrativo. Per quanto riguarda invece i personaggi, vi rimando ai due paragrafi finali della recensione, un argomento che meritava senz’altro una sezione a parte.

La scena iniziale è decisiamente d’impatto.

PRAYER OF THE REFUGEE

Il level design non eccelle per brillantezza, tendendo a svolgere il proprio compito con la perizia di un geometra: un lavoro ordinato ma privo di quel tocco capace di far sussultare un giocatore navigato. Nonostante ciò, si apprezza la cura e la fluidità delle animazioni, unite a un colpo d’occhio notevole in alcune delle locazioni più iconiche del gioco. Purtroppo, la presenza di mappe piatte e poco ispirate, con trovate già viste decine di volte, penalizza l’insieme. Nel complesso, Stellar Blade mira a un equilibrio tra combattimenti sofisticati e strutture di gioco tradizionali, alternando zone davvero ispirate ad altre meno precise, soprattutto nelle sezioni dedicate al platforming.

Se si ricerca un’esperienza action compatta e visivamente curata, sono i livelli “stretti” a rappresentare il cuore pulsante e meglio riuscito del gioco. Già dal tutorial su Eidos 7, si fa un largo e discutibile uso di vernice gialla per segnalare i percorsi, una scelta ritenuta da molti fuorviante e poco elegante, pittura che ci accompagnerà per tutto il corso del gioco. L’eccessiva presenza di indicatori visivi su ogni superficie genera un sovraccarico percettivo, finendo per annullare il senso di scoperta: se tutto è evidenziato, nulla risalta davvero. Così, anziché orientare, questa guida finisce per confondere il giocatore. Proseguendo, si raggiunge una città che movimenta un po’ la situazione, permettendo l’accesso a numerosissime quest secondarie.

Anche qui però, sono costretto a rilevare un’occasione mancata. Invece di sfruttarle per approfondire un mondo di gioco che potrebbe incuriosire abbastanza da meritare un’esplorazione più significativa, il tutto si riduce a sommergere il giocatore di fetch quest: dalla ricerca del gatto smarrito alla moglie allontanata, fino a un selfie in piazza o al recupero di una moto. Non sono tutte così e se ne trovano anche di interessanti (una in particolare evoca incredibilmente Alita, un’altra permette addirittura di modificare una parte di un livello già visitato), ma queste rimangono eccezioni, non la regola.

La colonna sonora di Stellar Blade è stata universalmente apprezzata per la sua varietà stilistica, l’impegno produttivo e l’indubbia qualità compositiva, grazie anche al prezioso contributo dello studio giapponese Monaca, guidato dal celebre Keiichi Okabe. Tuttavia, la ripetitività di alcuni brani vocali e i loop prolungati nelle zone esplorative hanno diviso l’esperienza dei giocatori. Se amate le OST ricche e stratificate, questa colonna sonora merita senza dubbio un ascolto attento, ma se preferite una varietà costante, potreste trovare alcune tracce un po’ ridondanti durante le fasi di esplorazione. Al contrario dei temi di battaglia che ho trovato davvero belli e riusciti.

stellar blade
La terra descritta in Stellar Blade è ormai quasi distrutta e spettacoli come questo non sono cosa rara.

Il combattimento con la spada risulta piuttosto semplice: è spesso sufficiente affidarsi agli attacchi leggeri per avere la meglio, mentre le combo più articolate faticano a distinguersi, poiché i nemici tendono a reagire sempre nello stesso modo. Alcuni tentativi di introdurre varietà, come una sezione basata esclusivamente sulle armi da fuoco, risultano interessanti sulla carta, ma appaiono poco sviluppati e restano spunti non del tutto esplorati. L’impressione è quella di un action molto ben confezionato, pensato per un pubblico molto casual: bello da vedere, pieno di buone intenzioni, tecnicamente impeccabile, con una colonna sonora che, pur clamorosamente ispirata a NieR Automata (condividendone persino il compositore, Keiichi Okabe), fa il suo dovere, ma nel complesso manca di sostanza e profondità, lasciando tanta amarezza.

Lasciarsi sedurre da Stellar Blade non è certo difficile, sia chiaro. E se dovesse accadere, vi troverete di fronte a un’abbondanza di attività capaci di tenervi incollati allo schermo: tra quest secondarie, collezionabili da scovare con meticolosità, potenziamenti da sbloccare e segreti ben celati, il divertimento è assicurato per ogni tipo di giocatore. Per i completisti, la vasta collezione di costumi rappresenta senza dubbio un incentivo, sebbene sia giusto prepararsi a qualche capo dal gusto davvero singolare, capace di lasciare perplessi per quanto poco si armonizzi con il contesto generale del gioco. In termini di longevità, la storia principale si attesta intorno alle 20 ore di gioco, un tempo che può facilmente raddoppiare dedicandosi a tutte le quest secondarie.

Per chi ambisce a raccogliere ogni singolo collezionabile e svelare ogni mistero, si superano serenamente le 60 ore, senza considerare il New Game+. Sono presenti finali multipli ed una gustosa modalità per combattere i boss.  È importante notare che, al di là di un’unica decisione finale cruciale, il gioco non offre scelte di dialogo multiple lungo la narrazione. Segnalo infine che il titolo è interamente sottotitolato e doppiato in italiano, garantendo una piena immersione linguistica.

Il design dei mostri è davvero particolare e ben riuscito

NEGATIVE CREEP

Fino a questo momento, ho affrontato l’opera in questione scomponendola nelle sue principali componenti ludiche e narrative. Ora, però, desidero spostare lo sguardo verso un territorio decisamente più ambiguo, disturbante e meno riconoscibile. È un’ombra che si allunga dalle pagine della grande letteratura alle effimere manifestazioni della cultura pop, trovando persino dimora nel vasto universo dei videogiochi. Il punto di partenza di questa indagine è una notizia che ha fatto eco nel panorama videoludico: la constatazione che oltre il 40% delle mod di Stellar Blade pubblicate finora si avventurano in territori erotici o pornografici.

Sebbene il gioco stesso non sia alieno a suggestioni maliziose, e tale fenomeno non rappresenti una novità assoluta, è lecito domandarsi se dietro questo “accanimento” non si celi qualcosa di più profondo, qualcosa di tutt’altro che casuale. La mia riflessione si estende quindi al cinema, abbracciando l’opera visionaria di Yorgos Lanthimos, Povere Creature, insignita del Leone d’Oro all’80ª Mostra del Cinema di Venezia. La sua protagonista, Bella Baxter, interpretata da una sublime Emma Stone, è una figura che evoca il mito di Frankenstein, ma lo rielabora in chiave grottesca e surreale.

Il suo ritrovamento e la successiva rinascita, attraverso il trapianto del cervello di un feto operato dallo scienziato Godwin Baxter, segnano non solo un inizio di vita, ma l’alba di una meditazione ben più vasta. L’incipit, pur potente, è solo un preludio al modo in cui la narrazione decostruisce con acume e ferocia un tropo insidioso e pervasivo, solo di recente definito con precisione: il Born Sexy Yesterday.

Questo archetipo, coniato dal videomaker Jonathan McIntosh nel 2016, descrive un personaggio femminile (o talvolta maschile) che incarna una combinazione apparentemente contraddittoria: un’estetica adulta e spesso seducente, unita a un’estrema ingenuità e a una quasi totale ignoranza del mondo circostante, come se fosse, appunto, “nata ieri”. Esperimenti di laboratorio, creature aliene, androidi o algoritmi informatici, tutti condividono uno sguardo innocente e verginale sul reale.

Tale condizione non solo giustifica la loro infantile meraviglia di fronte all’esperienza, ma legittima anche una dinamica relazionale in cui un protagonista maschile, spesso privo di tratti eccezionali, assume un’aura irresistibile, essenziale. Egli diviene guida, mentore, artefice della sua formazione, mostrandole il significato dell’essere umano – o, più precisamente, il significato dell’essere donna all’interno di una visione maschile del mondo.

Per non rovinare la visione a chi ancora non l’ha intrapreso, non approfondirò oltre il capolavoro di Lanthimos, ma è cruciale sottolineare come questo tropo affondi le sue radici nella mitologia, nei racconti epici, nei romanzi ottocenteschi, nelle opere letterarie più celebrate, nei fumetti, nei cartoni animati e, inequivocabilmente, anche nel mondo dei videogiochi. Esempi cinematografici celebri includono Quorra in Tron: Legacy (2010) e Leeloo nel Quinto Elemento (1997). Nel panorama videoludico, figure come Quiet in Metal Gear Solid e 2B in Nier Automata ne sono chiara espressione. Ed è forse proprio qui che la riflessione ci conduce a una conclusione tanto scomoda quanto necessaria.

Non mancano tuttavia opere che smantellano questo tropo, giungendo a esiti diametralmente opposti e proponendo visioni di libertà e consapevolezza: si pensi, appunto, al già citato Povere Creature, oppure a Ex Machina, senza dimenticare il sottovalutato Under the Skin.

PLUG IN BABY

A una prima analisi, questo archetipo può apparire innocuo, persino romantico: una figura femminile di rara bellezza, pura e ingenua, che osserva il mondo con occhi nuovi e si affida completamente al protagonista maschile per decifrarlo. Una donna che non conosce altri uomini, priva di esperienze pregresse, che mai mette in discussione colui che le sta di fronte. Eppure, è proprio in questa configurazione che si cela una dinamica tanto seducente quanto profondamente iniqua. Nel mondo reale, l’intimità e l’amore sono intessuti di confronto, di crescita reciproca, di vulnerabilità. Qui, il rapporto è intrinsecamente sbilanciato.

La donna è priva di termini di paragone, di aspettative proprie, di desideri che non siano quelli che l’uomo le mostra o le insegna. In tal modo, l’archetipo maschile non è mai messo in discussione: è saldo, desiderato, centrale. Nelle relazioni autentiche, sussiste sempre un certo grado di confronto, di ambiguità, di dialettica tra due visioni del mondo; qui, la donna è spogliata di ogni volontà autonoma: non contesta, non propone, non si oppone. Si affida, apprende, si conforma. È una relazione immaginata in cui l’uomo può esercitare un potere emotivo e sessuale senza resistenza, senza possibilità di fallimento o di conseguenze. Uno degli aspetti più problematici di questo tropo è l’annullamento di ogni forma di parità intellettuale.

Ciò rende il tropo particolarmente diffuso nelle narrazioni concepite da e per un pubblico maschile, dove l’identificazione con il protagonista è facilitata da una superiorità costante e mai scalfita. Ma l’aspetto più inquietante e disturbante è il legame diretto che il tropo stabilisce tra l’inesperienza e l’attrattiva sessuale. Non è solo che la donna è bella: è sexy proprio perché ingenua, vulnerabile, infantile nel comportamento.

Questo conduce a un’esaltazione implicita della disuguaglianza e, in taluni casi, della sottomissione. L’infantilizzazione della donna adulta serve a renderla più malleabile, più bisognosa, più controllabile — e quindi, in questa logica distorta, più desiderabile. Infine, il protagonista maschile assume spesso il ruolo del salvatore: colui che “libera” la donna dalla sua ignoranza. Questo rafforza la narrazione dell’uomo come punto di riferimento morale ed esistenziale, giustificando ogni asimmetria relazionale con una missione quasi educativa o paternalistica. L’amore si trasforma in un atto di “formazione”, e l’educazione in un atto di potere mascherato da benevolenza.

Il fascino del “Born Sexy Yesterday” scaturisce dalla sua capacità di rassicurare lo spettatore, il giocatore o il lettore maschio, offrendo una fantasia di controllo emotivo e sessuale in un contesto privo di rischi, conflitti o confronto reale. È una visione della relazione in cui la donna non è mai soggetto pieno, ma sempre oggetto da modellare. Per questo motivo, opere come Povere Creature assumono un’importanza capitale: non si limitano a replicare il tropo, ma lo svelano e lo sovvertono, mostrando cosa accade quando la “creatura” acquisisce consapevolezza di sé e del mondo — e non ha più bisogno di nessuno che glielo spieghi.

Un esempio emblematico si ritrova persino nella narrazione teologica di Adamo ed Eva. Adamo è plasmato per primo. Eva, generata successivamente da una sua costola, è una creatura derivata, concepita come sua controparte e ausilio, e dunque ontologicamente e narrativamente subordinata. Sin dal principio, ella appare dotata di un’immediata bellezza e desiderabilità, ma priva di conoscenza: ignara delle leggi divine e delle insidie del mondo, poiché i precetti del Signore sono rivolti esclusivamente ad Adamo. Eva apprende dunque per interposta persona, attraverso la mediazione maschile. Il disegno mitico si manifesta in tutta la sua evidenza: Eva è, in senso simbolico, “nata ieri”, una creatura affascinante ma ingenua, destinata a occupare il ruolo dell’allieva devota, dell’assistente perfetta. L’ordine originario è gerarchico: Adamo detiene il sapere, Eva si affida; lui guida, lei segue.

Scusate, ho un piccolo vuoto di memoria, potreste ricordarmi i nomi dei due personaggi principali di Stellar Blade?


Stellar Blade non è affatto un brutto gioco: anzi, si lascia giocare con piacere, grazie a una buona varietà di situazioni, a un sistema di combattimento spettacolare e a un comparto visivo notevole. Tuttavia, alcune scelte progettuali ne limitano l’impatto complessivo. Le missioni secondarie risultano spesso anonime, il fast travel è poco pratico e circoscritto alla singola area, e il mondo di gioco, pur visivamente ispirato, fatica a risultare davvero vivo o sorprendente. Le ispirazioni sono dichiarate e ingombranti: NieR: Automata per le tematiche filosofiche e l’estetica, Sekiro per l’impianto del combattimento, con tanto di parry a tempo e nemici che respawnano. Ma Stellar Blade non è né l’uno né l’altro: non è un soulslike, e non ha la profondità autoriale del titolo di Yoko Taro. Pur offrendo numerosi strumenti, combo e attacchi speciali, il suo sistema di combattimento non raggiunge mai la precisione e la coerenza interna del gioco FromSoftware. Sotto l’elegante superficie, mancano spunti davvero originali. Ambientazioni e meccaniche tendono a ripetersi, e l’insieme, pur confezionato con cura, restituisce la sensazione di un prodotto derivativo: solido, funzionale, ma privo di una vera anima. Un gioco che si fa giocare, ma che raramente sorprende. In conclusione, Stellar Blade è un action competente e spettacolare, consigliabile a chi cerca un’esperienza ben realizzata e visivamente d’impatto. Ma se cerchi qualcosa di più audace, profondo o memorabile, è probabile che questo titolo finisca nel dimenticatoio, stretto tra modelli troppo ambiziosi per essere davvero eguagliati.


 

Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.