Provato Dying Light: Bad Blood

Ormai il genere dei battle royale si è definito sempre di più, giungendo a uno standard ben preciso: i giocatori sono chiamati a correre verso il centro di una mappa che continua a restringersi, lottando l’uno contro l’altro per sopravvivere. Secondo Techland, l’utenza ha bisogno di distaccarsi della ripetitività di questa tipologia di opere ed è quindi giunta l’ora proporre al pubblico qualcosa di diverso. Per questo motivo ha intenzione di lanciare sul mercato Dying Light: Bad Blood, variante battle royale dell’omonima serie survival-parkour. Si tratta di una rivoluzione forse doverosa, che ci ha riservati non poche sorprese. Noi lo abbiamo provato in early access su Steam ed ecco cosa ne pensiamo.

Partiamo col presupposto che Bad Blood vuole essere un punto di rivoluzione per i battle royale e che, quindi, sarà particolarmente differente dalle formule utilizzate da titoli come Playerunknown’s Battlegrounds, Fortnite o il più recente Call of Duty: Black Ops 4 – Blackout. Stavolta l’obiettivo del giocatore è diverso: deve raccogliere una certa quantità di campioni di virus infetto per poi scappare con un aereo prima dei nemici. Non ci sono più aree che si restringeranno ma le avversità sono ben altre. Innanzitutto non saremo da soli, ma dovremo competere con altri undici cacciatori. Poi verremo chiamati a fronteggiare una certa quantità di zombie che troveremo concentrati quasi esclusivamente proprio nei cosiddetti “nidi”. Qui c’è il nucleo da cui estrarre il materiale con una siringa, azione che richiede del tempo per essere completata e che ci tiene scoperti a eventuali pericoli. Ciliegina sulla torta, ogni area ha un suo mini-boss, ovvero uno zombie più forte, più grande e con attacchi diversi dagli altri. Questa tipologia di nemico è quella che varia più spesso da una zona all’altra e si trova sempre nei pressi del nucleo da estrarre. Sta al giocatore saper rispondere a tutte queste avversità nel modo più veloce e strategico possibile. 

Le strutture ci permettono di correre ovunque. Sui tetti, negli edifici e sopra le macchine. Il limite è la vostra fantasia!

I cacciatori dovranno anche essere bravi a sopravvivere nella mappa raccogliendo armi e potenziamenti per le stesse, ma soprattutto nel correre via e fuggire sui muri, tetti e tra gli ostacoli che ci troveremo davanti. Il parkour, infatti, è stato ripreso completamente dal primissimo capitolo e ancora una volta risulta perfetto per scappare da zombie o soldati nemici. Questa meccanica riesce a garantire un divertimento senza eguali, che ci ricorda molto la corsa e le fughe di Mirror’s Edge. Non abbiamo apprezzato molto, invece, il sistema di potenziamento delle armi che le rende elementali: ad esempio possiamo applicare un chip su un coltello per elettrificarlo o un dispositivo su una mazza che congela i colpiti. Per quanto utile possa essere, ci è parso leggermente fuori dal contesto. Tuttavia era già presente nel primo Dying Light e gli utenti sembrano non averlo disprezzato, per questo consideriamo una buona mossa quella di tenerlo incluso anche in Bad Blood.

Fortunatamente, nel menu è presente un tutorial che ci illustra le principali meccaniche di questa innovazione del battle royale, spiegandoci passo per passo tutti i nostri compiti e i pericoli che ci troveremo davanti. Purtroppo l’intero gioco non è stato tradotto in italiano e questo potrebbe essere un problema per alcuni utenti. Un altro piccolo difetto si trova nella scarsa varietà di armi e zombie, che sono sempre gli stessi. La ripetitività è eccessiva e purtroppo Bad Blood non è riuscito a tenerci incollati allo schermo come speravamo. È anche presente un sistema di loot box, che ci permette di ottenere oggetti per personalizzare il nostro cacciatore o delle armi che non danno alcun vantaggio tattico, ma si limitano semplicemente a cambiare esteticamente l’avatar. Il nostro personaggio avanzerà di livello sia quando estrarrà un campione di virus, resettandosi ad ogni partita, che quando questa si conclude, offrendoci la possibilità di scegliere uno scrigno ogni volta che otteniamo abbastanza punti esperienza.

Il concetto di rivoluzione del genere portato avanti da Bad Blood è sicuramente un punto di riflessione per l’intero settore videoludico, che rende questo un prodotto assolutamente da scoprire. Tuttavia, il fattore “battle royale” viene stravolto quasi al punto di perderne il valore: dodici utenti su una mappa così piccola e altrettante poche modalità trasformano l’esperienza da una piacevole novità a un gioco già visto e a tratti molto ripetitivo. Mentre Call of Duty: Black Ops 4 – Blackout, che abbiamo provato recentemente, è riuscito perfettamente nell’intento di evolvere il genere, Dying Light: Bad Blood ha rivoluzionato anche troppo, perdendo quasi completamente il concetto di base dei battle royale. Non si tratta più una sfida a chi spara per primo e riesce a sopravvivere in un campo che si restringe, ma una corsa a tempo per raggiungere la salvezza prima che lo facciano gli altri. Tuttavia, i problemi dell’opera di Techland possono essere risolti, basta dare maggiore varietà al titolo sotto ogni aspetto, dai nemici e cacciatori, ad una mappa più grande e diversificata. Il prezzo cui viene proposto, solo 19,99 euro, è più che buono, vista anche la mancanza di novità rispetto al primo capitolo in quanto a contenuti, ma anche di modalità presenti. Sottolineiamo il fatto che abbiamo provato la versione ad accesso anticipato, ovvero il Founders Pack, acquistabile adesso su Steam qui. Restate connessi su VMAG per non perdere ulteriori novità su Dying Light: Bad Blood ed eventuali aggiornamenti sullo sviluppo del secondo capitolo.