The Dark Pictures Anthology The Devil in Me Recensione: un sanguinoso finale di stagione

Versione PlayStation 4

The Dark Pictures Antholgy The Devil in Me| Ormai siamo vicini alla conclusione del 2022. Un anno ricco di novità per il mondo videoludico, composte di grandi iterazioni da lungo attese come God of War Ragnarök o Elden Ring e opere inedite che hanno saputo sorprendere il pubblico come Stray o As Dusk Falls. Quest’anno, inoltre, vediamo anche la conclusione della prima stagione di un’epopea horror che ha saputo conquistare il pubblico: la Dark Pictures Anthology. Creata da Supermassive Games ed editata da Bandai Namco Entertainment, la saga ha raggiunto il suo finale di stagione con l’ultima iterazione da poco pubblicata, The Devil In Me.

Gli sviluppatori finiscono così la loro linea di pubblicazione annuale, iniziata con Man of Medan nel 2019, per quel che concerne questa “prima parte” della serie horror. L’opera in questione ha creato curiosità sin dal suo primo annuncio, soprattutto perché con i trailer pubblicati ha dato l’idea di aver rinnovato parte del gameplay generale oltre a concederci una nuova e terrificante storia. Ci sarà riuscito? Noi di VMAG vogliamo provare a rispondere a tale domanda tramite questa recensione perciò, bando alle ciance e cominciamo subito. Buona lettura!

The Dark Pictures Anthology The Devil in Me

The Devil in Me: benvenuti al World’s Fair Hotel

Cominciamo dal pilastro che ha fatto di questa saga la sua forza, ovvero la trama. Le precedenti opere strizzavano gli occhi ai classici del genere horror, non nascondendo le proprie muse, e The Devil in Me non è da meno, anche se a nostro dire questa volta l’ispirazione generale e per come è stata attuata è una delle più riuscite della Dark Pictures Anthology. Il titolo infatti trae la sua narrazione da un atroce caso di fine 800 che vede l’agire di quello che si documenta essere il primo serial killer americano: Henry Howard Holmes.

Ad esso sono stati attuati oltre ben 200 omicidi, compiuti nel suo “Castello” (un edificio atto a funzionare come Hotel ma avente anche una farmacia e un negozio, la quale però architettura è stata modificata dal killer per renderla una vera trappola labirintica), anche se la cifra reale rimane sconosciuta. Dopo un piccolo tutorial ambientato in quegli anni, che ci inoltra ai cambiamenti attuati al gioco, e all’immancabile racconto del Curatore (presente sin dal primo episodio) arriviamo ai giorni nostri facendo la conoscenza dei protagonisti. Si tratta di un’eccentrica troupe televisiva, dedicata ai documentari che si presume siano appartenenti al genere del True Crime. Il gruppo sta realizzando un episodio di una serie tv dedicato ai crimini di Holmes, e quale miglior occasione di farlo girando le scene in una magione ricostruita da un generoso benefattore che perlopiù è fanatico del suddetto killer.

Cosa mai potrebbe andare storto? La risposta è ovvia, ma non vogliamo dirvi di più in quanto rischieremo di fare spoiler e desideriamo che siate voi a unirvi al gruppo televisivo e viverne insieme gli orrori.

The Dark Pictures Anthology The Devil in Me

“Il fu Henry Howard Holmes”

Partiamo dal principio, ovvero la base della storia. A nostro dire è forse una delle più interessanti e delle più riuscite in termini di narrazione della Dark Pictures Anthology. Per la prima volta ci troviamo in una situazione di effettivo “realismo” all’interno del gioco. Realismo è inteso nel senso di reale, tastabile, veritiero del fatto che per la prima volta nell’epopea horror ci troviamo di fronte a un pericolo quanto mai concreto. Abbiamo infatti abbandonato la componente soprannaturale e il folklore mistico dei predecessori, e ci troviamo di fronte a un orrore nato da una psiche disturbata, dalla crudeltà di una persona e dalla sua ferocia. Un horror quindi all’apparenza verosimile e che affonda le sue radici nei fatti di cronaca.

L’inizio del gioco è proprio il punto in cui questo fascino (aiutato forse anche dal periodo in cui viviamo dove film e serie tv come “Dhamer” o “Mindhunter” aumentano questa curiosità) ha parte del suo apice. Lo condisce di macabro gusto, complice il vivere una possibile situazione in cui alcune vittime possono aver effettivamente preso parte in quegli anni. Giunti invece nei nostri giorni, la narrazione vede nel suo un incentivante miscuglio di orrore, mistero e indagine che su carta funziona, ma che in pratica ha riscontrato alcune difficoltà. 

Gli inizi della storia preparano una base interessante ma che nella durata complessiva del gioco, 7 ore circa (il più lungo fatto della serie finora), inizia ad annacquare man mano che si progredisce, prendendo un andamento di picchi e discese, che poco a poco si trascina a fatica verso una conclusione che assume toni abbastanza divergenti da quelli più machiavellici dell’incipit. The Devil in Me sembra che voglia raccontare tanto, il che può essere effettivamente interessante visto il punto di partenza della trama, ma nel farlo prende ogni tanto delle vie che più che affascinare lo spettatore lo mettono in confusione o addirittura (in certe fasi) possano annoiarlo.

Nel farlo, a volte, si perde inoltre in alcuni errori di scrittura che portano come risultato al far alzare gli occhi al cielo del giocatore. Oltre al fatto di essere invitati su un isola in un maniero che dovrebbe ricordare un hotel degli orrori, ricostruito ad hoc, e che all’interno siano vietati cellulari dovrebbe far storcere il naso a chi ha del sale in zucca. Ma come nel gioco viene spesso detto: “Cosa non si fa per la pura arte”.

The Dark Pictures Anthology The Devil in Me

The Devil in Me: a caccia di un killer e di una via d’uscita

Il problema della narrazione di The Devil in Me è che, nonostante abbia una base solida e sicuramente più interessante come detto prima, cade molte volte in una discontinuità del racconto. Innanzitutto, quello che ci attende è conoscere i nuovi protagonisti, con i relativi background e caratteri, con i quali dovremmo far subito i conti per capire soprattutto se in una situazione di pericolo qualcuno (fuori dal nostro controllo) possa salvarci o meno. Su questo lato la formula non è tanto diversa dai precedenti episodi, ritrovandoci quindi con i classici schemi comportamentali già visti.

Seppur il cast sia variegato e integrante di varie nazionalità, per via di questo sentimento del “già visto” i protagonisti in se non riusciranno a far breccia nel cuore del giocatore. Dopo aver conosciuto questi, inizieremo la nostra vera parte legata a capire gli orrori che ci celano in questo hotel mentre un killer, travestito dall’iconico H.H. Holmes, ci da la caccia. Siamo quindi di fronte a horror che si avvicina molto ai cosiddetti “Slasher”. La conseguenza è quindi non solo capire la storia dell’hotel e di Holmes, ma capire anche perché vi sono tutte queste vittime e chi sia questo emulatore che vuole eliminarci.Qui subentrano i classici documenti e oggetti da raccogliere in giro che, più di quanto avveniva in House of Ashes, sono fondamentali per rimettere insieme i pezzi del racconto, che diventa occasionalmente chiaro.

Con questo cambio che prende i connotati più da investigativo, il ritmo di gioco subisce dei cambiamenti, la conseguente dilatazione dei tempi del racconto e la sovrabbondanza tematica ne riducono il carico di tensione. Infatti sembra prendere una via più mista tra Thriller-horror che comunque ha i suoi punti di forza nonostante il primario obbiettivo sia mettere timore più che spaventare. E su questo punto vorremo pure dire che se vi è sembrato dai trailer che potesse sembrare una cosa più vicina a film come “Saw – L’enigmista” possiamo affermare che in parte è vero (grazie a delle trappole magistralmente costruite atte a farci fare decisioni importanti), ma onestamente a noi ci è sembrato di essere più delle vittime di personaggi videoludici come Sander Cohen (Bioshock) vista anche la direzione narrativa del racconto.

 

The Dark Pictures Anthology The Devil in Me

Nuovo cavallo, vecchia carrozza

Per quel che concerne il lato del gameplay, la formula offerta rimane quella che ha reso nota la saga horror. Al pari degli scorsi episodi, le relazioni interpersonali muoveranno i fili della storia, insieme alle scelte varie ed eventuali scelte nei momenti chiave con eventuali QTE segneranno il destino di chi vive e di chi muore. Le opzioni di dialogo rimangono sempre tre, con il classico “non dire nulla” che se usato con eccesso crea situazioni di ilarità. Niente di diverso da ciò a cui siamo già stati abituati, una tecnica che sicuramente può arrivare al pubblico nuovo a questo genere con facilità. Ma anche per i fan di vecchia data ci sono delle novità decisamente interessanti e che abbiamo apprezzato. Infatti il merito maggiore con The Devil in Me risiede nel tentativo, parzialmente riuscito, di proporre una struttura dell’avanzamento non troppo lineare.

Questo in effetti lascia molta più libertà al giocatore; useremo sempre uno dei cinque personaggi ma potremmo visitare gli ambienti dell’hotel e altri ancora con molta più autonomia. Aiuta anche il fatto che la mobilità dei protagonisti è stata ampliata, e quelle azioni che prima erano demandate da semplici QTE ora richiedono una partecipazione più attiva, come lo spostamento di casse o supporti per raggiungere superfici sopraelevate. Il tutto, come detto, è parzialmente riuscito perché, seppur “l’investigazione” sia ampliata, il luogo in cui ci troveremo è comunque limitato dalla sua struttura chiusa. L’altra innovazione è rappresentata dall’uso dell’inventario: ogni protagonista possiede specifici strumenti che possono essere utilizzati all’occorrenza per agire su oggetti o che influiranno sul farci sopravvivere. Di base è un’ottima idea, che garantisce una caratterizzazione maggiore a livello del gameplay e che mette il giocatore in contesto dove deve ben pensare se usare o meno un oggetto, ma che avrebbe però meritato una rifinitura maggiore.

Infatti, anche l’utilizzo degli strumenti sarà abbastanza guidato sul “quando” o “dove” usarli lasciando da parte eventuali sperimentazioni da parte del giocatore. Sicuramente, per essere un primo tentativo di variazione nel gameplay, eventuali criticità o pregi verranno intrapresi nella seconda stagione della The Dark Pictures Anthology. Una nota positiva dobbiamo farla su quello che nei precedenti titoli era una prassi fin troppo eccessiva: i QTE. Inoltre questi, almeno durante le nostre partite a livello “Impegnativo”, intervengono solo in rare occasioni, oltre agli inseguimenti e le lotte. Un cambiamento che abbiamo davvero apprezzato; una modifica che mantiene l’importanza dei QTE a livello di chi vive o chi muore, ma quanto meno in contesti dove il pericolo è effettivo.

The Dark Pictures Anthology The Devil in Me

The Devil in Me: un altalena tecnica

Con tutte le novità introdotte, The Devil in Me come si comporta a livello tecnico, grafico e sonoro? Come il titolo del paragrafo può far intendere, ha dei picchi e delle ricadute. Cominciando dal primo punto, l’opera non si discosta molto da quanto abbiamo già visto in passato. Il motore grafico si comporta bene e alcuni ambienti e situazioni rimandano al giocatore un lavoro importante di ricostruzione del castello e alcune atmosfere davvero ben riuscite. Non si può negare una importante ripetitività negli ambienti, figlia della location e dei limiti strutturali di un’avventura che continua comunque a rivelarsi sostanzialmente lineare, seppur più aperta nell’esplorazione.

Il miglioramento della telecamera è un altro punto da lodare; dove in House of Ashes era un primo esperimento di utilizzo della visuale libera, in The Devil in Me è decisamente perfezionato anche se in alcuni punti può capitare ancora di avere scontri tra muro e personaggio. Per quel che concerne la grafica, riteniamo sia comunque consigliabile giocarlo almeno su una PlayStation 4 Pro, sia per via di poter godere a pieno un titolo che sfoggia un estetica vicino al fotorealismo e in quanto ci è capitato di avere leggeri problemi di rendering dell’immagine. Le animazioni dei personaggi sono decisamente migliorate rispetto ai predecessori, anche se purtroppo rimangono ancora alcuni dei classici problemi relegati alla zona facciale. Non ci è capitato di vedere grossi cali su questo fronte, ma in alcune scene si può ancora assistere a certe esagerazioni faciali specialmente nei dialoghi.

Sul sonoro ci sono alcuni appunti che tristemente ci tocca presentare. Da un lato abbiamo un valido sound design e una colonna sonora accattivante e che fa il suo lavoro, dall’altra vi è un problema per la versione italiana del gioco. È comunque piacevole la presenza di una localizzazione ben fatta, seppur i doppiatori a nostro dire non rendano totalmente come nella versione originale; il problema principale risiede nel fatto che più volte è mancato un doppiaggio, specialmente nei dialoghi. In alcune scene ed azioni verranno dette in inglese e distacca molto il giocatore quando accade. Non è un problematica così grave e può essere sistemata con una patch e speriamo che accada. Infine come negli altri episodi, si presenta anche qua un cast di attori validissimi e che hanno saputo regalare un ottima immersione a livello cinematografico.

In conclusione, The Devil in Me chiude in nel bene e nel male la prima stagione dell’antologia horror marchiata Supermassive Games e Bandai Namco Entertainment. A nostro dire è forse l’episodio che più ci ha intrigato, insieme a Little Hope, a livello narrativo e per la presenza di un rinnovamento nel gameplay. Nonostante però avesse le carte in regola per fare un grande finale di stagione, non riesce ad eccellere totalmente a causa di un evoluzione discontinua della storia. Ciò che da un lato aggiunge alla formula ludica, dall’altro lo sottrae in termini di ritmo narrativo. Il titolo si mantiene comunque inquietante e intrigante, pur prendendo i connotati di un investigativo. È comunque apprezzabile il tentativo degli sviluppatori di muoversi in zone fuori dalla loro comfort zone, sperimentando in parte nuove idee di gameplay e delle quali siamo fiduciosi saranno rese ancora meglio con la seconda stagione della The Dark Pictures Anthology.