Red Creek Valley è incantevole. Ancora adesso. E’ passato meno di un anno da quando l’abbiamo visitata per la prima volta, ma il suo fascino resta assolutamente inalterato, capace di investire i sensi già dopo pochi passi con tutto il suo carico di intensità. The vanishing of Ethan Carter arriva su PlayStation 4 grazie alla conversione del motore grafico in Unreal Engine 4, e ora anche chi possiede una console Sony può goderne.
E’ inutile fare giri di parole attorno alla questione: se l’avete già giocato su PC è superfluo ricomprarlo, anche perché la versione in UE 4 (chiamata Redux) è disponibile gratuitamente per chi già lo possiede. Ma se non avete mai tentato di risolvere il mistero che avvolge il piccolo Ethan non ci sono scusanti, questo è il momento giusto per regalarvi questa esperienza. “Regalarvi” mi sembra il termine esatto, visto che i pochi soldi per l’acquisto del gioco li considero un investimento più che altro. Ci tornerò a fine recensione.
Siamo sempre nei panni del detective dell’occulto Paul Prospero, che si ritrova a dover indagare sulla scomparsa di Ethan Carter, un ragazzino di 12 anni che abita nella sperduta Red Creek Valley, tra le montagne del Wisconsin. Abbandonata dopo il crollo avvenuto nella vicina miniera è ormai deserta, e recentemente la casa dei Carter è andata a fuoco per motivi misteriosi. Siamo nel 1973 e al nostro arrivo, dopo aver raccolto i primi indizi, scopriamo che c’è qualcosa di più dietro il semplice incendio. Qualcosa di più oscuro. Grazie all’abilità di Prospero di poter vedere i fatti avvenuti “ricostruendoli” con gli indizi rinvenuti, verremo inghiottiti nell’atmosfera che permea la nostra missione. La trama di The vanishing of Ethan Carter è talmente pregna di elementi magnetici che ad ogni passo che muoveremo a Red Creek, fin da subito, ci sentiremo avvolti in un’aura carica di tensione, come se stessimo indagando su qualcosa di reale e molto importante. Rivelarne anche solo qualche dettaglio in più mi sembra offensivo verso il giocatore. Il merito va dato come sempre alla maestria dei The Astronauts (team indipendente di Varsavia composto da alcuni ex membri di People can fly) che hanno riversato tutto il loro talento nella realizzazione di questa avventura che richiede molta contemplazione e concede completa libertà di esplorazione, un sotto-genere che nell’ultimo anno è passato velocemente sotto i riflettori. The vanishing of Ethan Carter non è un gioco per tutti, ma che tutti dovrebbero prima o poi giocare.
Lo studio di sviluppo si è avvalso di tecniche all’avanguardia per riprodurre lo splendido scenario lacustre, come la fotogrammetria, che permette di creare modelli tridimensionali partendo da fotografie fatte ad oggetti reali, e in futuro potrebbe mandare a casa il mestiere del modellatore 3D come lo conosciamo oggi. Unita ora all’Unreal Engine 4, l’ambiente di gioco è adesso ancor più dettagliato e affascinante che mai. La vegetazione, il terreno, i sassi, le stanze beneficiano di micro particolari delle texture, davvero sbalorditivi, che in più di un’occasione vi faranno osservare con attenzione e minuzia anche gli angoli più remoti. Red Creek non è enorme, e questo ha permesso agli sviluppatori di curarla maniacalmente. Nessun area risulta povera, nessun anfratto naturale o stanza di una casa scarseggerà di carattere e caratteristiche, a meno che non paragoniate le aree di maggior impatto ai tratti da percorrere che le separano. Va detto che, anche se su PlayStation 4 non viene raggiunta la qualità di un personal computer ben performante e con tutti i parametri pompati al massimo, il tutto resta assolutamente di altissimo livello e mai distrarrà il giocatore dal grande impatto ammaliante sia degli interni che degli esterni. La pecca che possiamo sottolineare è più quella dell’occasione sprecata per non aver rielaborato in meglio i modelli dei personaggi, che restano a mio giudizio poveri di poligoni e conservano un design troppo poco realistico, quasi cartoonesco nei volti. Credo che dargli un area più verosimile ed espressiva avrebbe aumentato la malinconia trasmessa nelle scene in cui sono protagonisti. Peccato anche per qualche asset riciclato (nella zona della miniera soprattutto) che però diventano addirittura utili al giocatore per capire subito dove non può proseguire. D’altro canto il lato tecnico non è il vero punto di forza del gioco, quanto lo è invece il design.
“Questa è un’esperienza di gioco narrativa che non ti conduce per mano” è l’avviso che ci introduce al gioco, slegandosi fin da subito dai crismi imposti da un mercato di massa che punta all’accessibilità sacrificando spesso il resto. Ci troviamo in un ambiente in cui tutti gli elementi che percepiamo visivamente e uditivamente si traducono in un feedback quasi immediato per la prosecuzione. In The vanishing of Ethan Carter non è presente alcuna interfaccia per il giocatore: le interazioni sono relegate a scritte sugli oggetti da usare o osservare, mentre l’esplorazione è completamente libera, ma sotto sotto guidata da un level design e un sound design che trasuda esperienza da ogni pixel. I controlli permettono solamente di interagire con gli oggetti, di correre e di accovacciarsi, ma l’ultima è inutile e spesso e volentieri eviterete di correre. Eppure tutto funziona a meraviglia. Quando dicevo che i soldi spesi per questo gioco sono un investimento, lo credo davvero. Se siete maggiorenni e vi piacciono i videogiochi, questo è un prodotto che può insegnarvi molto, moltissimo, su come andrebbe realizzata un’avventura. Saper veicolare il giocatore e gestire l’esplorazione liberà è un limite molto alto per uno sviluppatore e i The Astronauts lo hanno superato, fondendola e rendendola parte di una narrativa tra le più immersive mai giocate. La disposizione degli elementi di scena, le scelte cromatiche, le soluzioni di design per condurci alla soluzione, le continue citazioni a opere letterarie del mistero e dell’orrore, il doppiaggio e molto altro vi terranno concentrati per tutte le 5 ore circa di gioco, col fiato sospeso e la voglia spasmodica di proseguire. E’ un’esperienza videoludica tanto breve quanto valida e potrebbe essere presa d’esempio per spiegare ad un neofita, meglio se oltre una certa età, quanto può trasmettere il nostro medium preferito.
Questo porting per PlayStation 4 non arriva all’eccellenza assoluta per la mancanza di vere migliorie tecniche e non che avrebbero migliorato l’esperienza originale o la rigiocabilità, ma è l’occasione giusta per ampliare il bacino d’utenza di un gioco che dovrebbe far scuola a molti altri. Se non l’avete giocato per PC, non fatevelo sfuggire.