Halloween 2021: che cosa rende un gioco horror spaventoso?

Halloween aleggia sopra di noi, e quale modo migliore di festeggiarlo se non trovando modi divertenti e genuini di creare terrore nei cuori degli amici e un po’ nei nostri. Halloween 2021 è in un certo senso una rinascita, almeno dal nostro punto di vista, come molte altre feste importanti in quanto negli ultimi tempi la “normalità” sta lentamente tornando all’ordine del giorno. Questo perché l’anno scorso ci è stato difficile gioire eventi memorabili a causa della pandemia e dell’assenza di un vaccino per contrastarla. Perciò Halloween ieri sera è risorto, similmente agli zombie, come festa dove potersi divertire in compagnia e uscendo da casa. Ognuno prende questa tradizione a suo modo.

C’è chi decide di guardare dei film horror (di cui, se siete interessati, abbiamo stilato una lista su quelli consigliati da noi in questo altro articolo), chi legge dei racconti in modo da non dormire più e coloro che escono a spaventare quanta più gente possibile. Non si escludono i più giovani che nel pieno spirito di quegli anni si divertono ad andare alle porte delle case gridando l’omonima frase “dolcetto o scherzetto”. Abbiamo dimenticato qualcuno? Si, ovvero le persone che decidono di passare la serata gustandosi un buon gioco horror in solitaria o tra amici. Ed è qui che vogliamo esprimerci maggiormente in questo articolo. Le opere di questa categoria hanno avuto un passato interessante, se non accidentato. Gli ultimi 20 anni hanno visto il genere svilupparsi, morire improvvisamente, tornare in vita e raggiungere proporzioni enormi, superando anche i film horror come mezzo di intrattenimento preferito. Ma cosa rende effettivamente un gioco horror spaventoso? Sia chiaro, questo articolo non ha l’intenzione di rispondere a questa domanda quanto più di riflettere e dare un’opinione al riguardo, portando esempi vecchi e recenti e spiegandone il fascino o la debolezza.

The Evil Within

Prima di tutto: che cos’è l’horror?

Prima di discutere sul concetto sopracitato, dobbiamo dare un attimo di base e partire dalle origini ponendoci la domanda: che cosa è l’horror? Se prendiamo la definizione da Wikipedia, il sito cita: “L’orrore, detto anche con il termine inglese horror (derivante dal latino horror che significa “orrore”) è un genere di romanzi, film o altri tipi di opere che mira a suscitare nel lettore o spettatore sentimenti di spavento e orrore. Tipici sono la letteratura dell’orrore e il cinema dell’orrore.” Si parte facendo luce su un fatto molto importante, ovvero che le opere horror devono creare negli spettatori un determinato tipo di emozione: la paura. Molti di voi penseranno che è banale come descrizione, ma è molto più complicato di quel che sembri. Specialmente se si tratta di creare o riportare allo scoperto una turbazione emotiva tramite un lavoro multimediale o scritto.

In genere i rimandi più antichi riguardano ciò che poi è diventato il folklore tipico di alcune zone del mondo e che hanno spianato la strada ai futuri maestri dell’horror. Dai più classici vampiri, lupi mannari, streghe o fantasmi, i punti di ispirazione storici sono molteplici e molto usati nell’era contemporanea. Anche nei videogiochi. Però la differenza che separa il cinema da quest’ultimi è che i giochi forse sono molto più spaventosi dei lungometraggi. Con questo non intendiamo dire che il cinema non è capace di mettere ansia, tutt’altro. Proprio grazie a saghe cinematografiche come Alien, The Ring, La Cosa e tanti altri ancora, che molti titoli a noi cari sono nati. Allora dobbiamo spostarci su un’altra parola che è il pilastro fondamentale e diretto collegamento all’horror: paura. Tutto ruota intorno a questa emozione; se qualcosa non fa paura difficilmente sarà memorabile o identificabile come horror.

O almeno cosi è l’idea tradizionale. Negli anni il genere si è evoluto in moltissime sotto-categorie, tanto da mettere in discussione cosa volesse dire che un qualcosa è horror. Una storia senza smembramenti o atmosfere cupe può tranquillamente essere molto più spaventosa di una che invece le possiede. Esattamente come le amate creepypasta ci hanno insegnato, bastano anche poche righe di testo per far venire i brividi a una persona. E quindi, come si riflette tutto ciò in un’esperienza interattiva?

Phasmophobia

Horror e videogiochi, un duo complesso

L’horror nei videogiochi, come detto poc’anzi, è più complesso di quello che accade nei film horror. È vero che la sensazione di terrore che dovreste provare è simile; entrambi si affidano molto al ritmo, alle immagini scioccanti e alla musica. Tuttavia, i giochi sono un’esperienza interattiva; ci sono conseguenze per il giocatore a cui nessuno in un cinema buio potrebbe relazionarsi. Hanno bisogno di elementi di gioco che non vi distraggano, un design dei livelli che vi metta in pericolo in modi che non potete prevedere e una direzione artistica che giochi con la vostra testa.

Tutto questo in modo da accettare che ciò che state vivendo non è più “solo un gioco.” Insomma, si può riassumere ciò che abbiamo detto in questa frase: per far si che una persona abbia ansia, paura o comunque una sensazione di terrore, un titolo deve far si che giocatore sia costantemente di fronte a qualcosa di inaspettato. A parlane di questa cosa più nel dettaglio è tutta l’opera letteraria di Howard P. Lovecraft da cui prendiamo una citazione, la cui se attuata può far la differenza tra un titolo spaventoso o meno:

La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto.

Una frase che racchiude dentro di se una verità immensa. Quando noi vediamo qualcosa che non conosciamo, o ci stiamo approcciando a qualcosa che a noi ci è sconosciuto, ne abbiamo una giusta paura. Questo perché? Perché non sappiamo cosa aspettarci. Per l’appunto, qualcosa di inaspettato. Nella storia videoludica vi sono stati tantissimi esempi che sono riusciti nell’impresa e che hanno mantenuto alto il livello dell’asticella della paura, siano essi AAA oppure indie. Bisogna anche affermare una cosa, specialmente per coloro che sono meno inclini ad apprezzare questo genere: a noi piace essere spaventati. Giustamente direte, anche perché se non fosse cosi non ci avventureremo in nottate con luci spente a orari improponibili in manicomi, città zombificate o in posti chiusi con mostri di ogni forma. Ci piace quella tensione che proviamo quando camminiamo per un corridoio oscuro sapendo che qualcosa potrebbe saltarci addosso, e soprattutto quando questo non è scontato.

Alcuni giochi sono dei maestri nel far nascere passo dopo passo questo tipo di sensazione. Sapere che c’è un pericolo in agguato ma non sapere esattamente dove, è il cardine di titoli come Slenderman, nel quale vi troverete a correre in giro nell’oscurità armati solo della vostra torcia e della consapevolezza che la creatura senza volto è probabilmente già dietro di voi. Lo stesso vale per Silent Hill; ogni porta che aprite potrebbe portare a dei mostri, e ogni volta vi troverete a controllare spasmodicamente quante cure o armi vi sono rimaste. La minaccia che non si vede è molto spesso la più spaventosa. Ovviamente, sempre prendendo d’esempio quest’ultimo, ciò che aiuta il coinvolgimento è anche un’ambientazione che colpisca e inquieti fin dal primo momento e Silent Hill si dimostra ancora uno dei capi incontrastati di ciò.

Resident Evil

I luoghi che esploriamo o dove saremo intrappolati ci faranno compagnia per tutta la durata del gioco. E necessario, quindi, che a primo impatto una persona deve sentirsi non a suo agio, fuori posto o disturbata da ciò che la circonda. Queste sensazioni devono mantenersi fino alla fine, altrimenti uno potrebbe iniziare ad annoiarsi o a prevedere ciò che lo attende. Ad aiutare il tutto vi è la necessità di una colonna sonora e del comparto d’audio ad effetto e coerente. Alcuni titoli, specialmente gli indie, sono fonti da cui alcuni produttori dovrebbero imparare. Infatti, forse proprio per il fatto che hanno “più libertà” riescono in ciò che fanno. Ao Oni, Mad Father, Ib e persino lo stesso Undertale sono alcuni degli esempi migliori nel genere horror.

Alcuni di voi potrebbero storcere il naso a sentir nominare l’opera di TobyFox associata al nome horror. Ed è qui che sbagliate. Ritornando al discorso fatto in precedenza, non tutti gli horror devono avere sangue o smembramenti per far paura, e giochi come Undertale o In Sound Mind ne sono la prova. Siccome andare a parlarne porterebbe inevitabilmente a fare degli spoiler, vi consigliamo di perseguire la strada per il finale della Genocide o guardarvi qualche video su YouTube e vi assicuriamo che vi ricrederete. Per quel che riguarda gli altri indie sopra elencati c’è ben poco da dire, garantiscono un livello di tensione che si prolunga dai primi minuti fino agli ultimi. Quindi, se volete passare una serata spaventosa, sono altamente consigliati.

Undertale

Jumpscare, che passione!

Una delle tecniche presenti praticamente in ogni opera del genere horror è il fatidico Jumpscare. Quante volte vi è capitato che all’improvviso apparisse qualcosa di spaventoso o minaccioso allo schermo e letteralmente siate sobbalzati dalla sedia? Ecco, quello è una delle mosse tipiche che i giochi horror fanno. Ma funziona? Si. Può rendere un gioco un horror spaventoso? No. O almeno, non completamente. Il jumpscare può annoiare se utilizzato in continuazione, soprattutto se è l’unica cosa spaventosa che ha un titolo. Possiamo già immaginare che ad alcuni di voi verrà in mente la popolare serie di Five Nights at Freddy’s, conosciuta e diventata famosa inizialmente proprio per questa sua caratteristica. Però perché la nota opera di Scott Cawthon è cosi apprezzata se il tutto finisce con un jumpscare atteso?

Perché seppur previsti non sono la cosa che più mette ansia o paura, ma il contesto in cui ci troviamo lo fa invece. Five Nights at Freddy’s spaventa ed è amata dai fan del genere perché è costruita sul terrore che ad ogni momento qualcosa o qualcuno si avvicini inesorabilmente nel nostro piccolo angolo chiuso. I jumpscare sono solo un modo per dire che avete perso il gioco, e quindi funzionano. In maniera equilibrata, però, c’è da dire che quando hai giocato ad uno degli episodi i successivi sono già prevedibili nella mente di un veterano accanito. Ciò che ha portato avanti la serie è anche una profonda, intricata e inquietante lore che comunque è importante per un titolo horror.

Five Night's at Freddy's 4

Seriamente, poche volte capita che la trama si basi su un killer che uccide dei bambini per meri scopi personali. Ma non è l’unico esempio di cui il pilastro sono i jumpscare. La serie della The Dark Pictures Anthology e Dead Space sono due perfetti modelli, oltre a essere abbastanza rivoluzionari. Until Dawn in particolare, quando uscì, fu amato da gran parte del pubblico per la sua originalità. Lo stile dell’avventura interattiva era già stato ampiamento usato nei lavori della Quantic Dream, ma pochi erano i casi in cui venisse usato per un contesto horror. Until Dawn portò una ventata d’aria da letteralmente far gelare le vene. Ciò che è successo con gli episodi “successivi” della The Dark Pictures Anthology è stata più una discesa a detta nostra.

Infatti a lungo andare si è persa quella bravura nel mettere completamente ansia e nel saper usare i jumpscare nella maniera corretta, procedendo su una strada più portata a divertire “spaventando” i giocatori in cooperativa. Similmente come accadde con Dead Space. Uno dei primi esemplari a portare l’horror cosmico sulle console. Si tratta di uno dei sottogeneri più difficili da creare, in quanto bisogna essere capaci di instillare la paura dello spazio e del cosmo attraverso stratagemmi maniacalmente perfetti. La serie di Visceral Games è stata bravissima a eseguire tutto ciò, almeno fino al terzo e ultimo episodio. Qui si è dato decisamente tanto spazio alla trama sorvolando, a nostro parere, sulle parti più spaventose e che rendevano Dead Space unico. E questo ci porta al prossimo punto della nostra riflessione: quando le saghe horror smettono di seguire le orme dei loro predecessori.

Dead Space

 

Resident Evil, ma cosa mi combini?

Ci duole molto mettere questo titolo, ma allo stesso tempo riteniamo sia la saga che più negli anni abbia dato prova di come l’horror sia una categoria difficile da gestire a lungo andare. Cade il 1996 ed esce il primo Resident Evil sulla PlayStation 1, è l’inizio di un era e di una serie che attraverserà gli anni, le console e le sale cinematografiche. Sin da subito è stato un fulmine a ciel sereno, portando al pubblico un primo esempio del cosiddetto “survival horror”. Perché funzionava Resident Evil? Aveva praticamente tutti gli elementi menzionati sopra: un’ambientazione angusta, soundtrack e suoni agghiacciati azzeccati, una storia avvincente e terrificante, jumpscare non eccessivi e non sapevamo cosa ci attendeva.

La semplice animazione della porta che si apriva metteva una fugace paura nei cuori dei giocatori al sol pensiero che nella scena si sarebbe palesato un jumpscare. Ma anche in ciò che sarebbe susseguito: potevamo trovarci in una stanza ricca di oggetti quanto di zombie. E quindi segue l’ansia di avere abbastanza cure e proiettili per poterli fronteggiare e va aumentando quando questi scarseggiano. Tutte queste emozioni si sono prolungate per i primi episodi della serie, mantenendo costante il piacere di giocarci e aumentando il numero di fan che lo apprezzavano. Purtroppo tutte le cose non durano in eterno. Arriva il 2005 ed esce il Resident Evil 4, il capitolo più rivoluzionario ed amato di tutta la saga che sarà destinato a stravolgere completamente lo status quo. Per la prima volta, la telecamera non è fissa ma libera.

Resident Evil 4

 

Un dettaglio non da poco conto, specialmente perché già eliminandola si è tolta una delle caratteristiche che più spaventava le persone. Il fatto di non sapere cosa ci fosse dietro l’angolo finché non lo si avesse superato. L’inaspettato, ecco che ritorna come tema principale. Sebbene questa variante, il quarto episodio si destreggia comunque mantenendo vivo il sentimento di paura e ansia. Allo stesso tempo è l’ultimo esemplare che sfrutta un’altra peculiarità che metteva agitazione nei cuori dei giocatori: i salvataggi limitati. Ebbene si, nell’epoca in cui i salvataggi automatici erano un sogno, si optava per un save manuale sotto forma di inchiostro per macchina da scrivere. Ci sarete arrivati, non erano eterni e bisognava usarli con estrema cautela.

Con l’arrivo di Resident Evil 5 le cose cambiano radicalmente. La strada intrapresa da Capcom non è più quella del survival horror, ma quella dell’action-survival-horror. Si nota il cambiamento nel semplice fatto che non spaventa più come i suoi predecessori. Questo è dovuto a molti fattori. In Primis che saremo più armati che altro, avendo un arsenale col quale affrontare eserciti interi di non morti. A seguire è la presenza di chekpoint; utili si, ma fanno perdere l’ansia di riuscire a salvare in tempo. Infine l’ambientazione, troppo aperta per buona parte del gioco e con visuale a 360° di cosa ci circonda. Il punto su cui si salva a parer nostro è la trama che seppur portata sopra le righe, specialmente nel finale, è stata creata per concludere definitivamente Resident Evil. Ma allora perché esistono altri tre sequel? Qui parte la nota dolente del discorso.

Jeanette Maus

L’uscita di Resident Evil 6 ha confermato la via dell’action più che dell’horror, lasciando interdetti molti fan veterani della serie. Il sesto capitolo è stato di certo un colpo al cuore in quanto è stato generalmente respinto dal pubblico, nonostante le vendite. Quando tutto sembrava finito, spunta Resident Evil 7. Un titolo che stravolge di nuovo i dettami lasciati dai predecessori e che tenta disperatamente di tornare sui vecchi passi della saga. Ci è riuscito? A nostro parere si. Specialmente se messo a confronto con Resident Evil 6. Resident Evil 7 è stata come una fenice per Resident Evil, e seppur sia stato venduto inferiormente al suo predecessore è stato accolto con maggior approvazione proprio perché si tornava ad avere una giusta paura e tensione di un gioco. Giungiamo dunque a Resident Evil Village. Qua molti di voi saranno in disaccordo su quanto stiamo per dire.

Quando si vede il trailer di un titolo horror ci si può aspettare posti spaventosi, persino l’ignoto che mette già da subito una giusta ansia e curiosità. Resident Evil Village si è palesato in maniera sbagliata da questo punto di vista; ciononostante ha creato un’esplosione di felicità nell’internet. Diciamo che la fonte principale di questa improvvisa ammirazione è dovuta alla signora che vedete nella foto qua sopra: Lady Dimitrescu. Ripetiamo ancora una volta che ciò che più spaventa in un gioco horror è “l’inaspettato”: mostri di ogni sorta, personaggi pazzi che si trasformano (tipici della saga) ecc. Ma qua, un corpo femminile, vestito in maniera elegante e di cui l’unica cosa spaventosa è il fatto che ricordi un vampiro, è qualcosa di troppo familiare. In che senso vi chiederete, ebbene la risposta è quella che segue.

Resident Evil Village

Cosa ha di spaventoso o inquietante Lady Dimitrescu? O che ansia vi mette un personaggio quale Heisenberg? Nessuna. O almeno a noi non la hanno trasmessa. Nota di merito però va a Donna Beneviento di cui il livello e il personaggio hanno saputo effettivamente dare terrore in tutto il contesto in cui si trovava. Tornando ai primi due; l’ammirazione creata dall’iconica Lady non è dovuta al fatto che sarebbe stata una delle cose più inquietanti da affrontare, bensì dal suo personaggio in sé. Ugualmente per Heisenberg che per via del suo carattere burbero e sarcastico potrebbe tranquillamente essere messo in un Devil May Cry e ci starebbe a pennello (guardate caso, sono entrambi prodotti di Capcom). Resident Evil Village è sicuramente stato apprezzato per molte cose ed è sicuramente un ottima opera interattiva, ma noi riteniamo che la vera foga manchi nella parte horror del gioco.

Purtroppo l’inclinazione sempre più casual dei single-player sta portando alla scomparsa di questo elemento chiave, come dimostra la serie di Resident Evil. A meno che la possibilità di morire non sia un elemento chiave, la paura della morte è stata totalmente surclassata se non in alcuni validi esemplari che ancora sanno mantenere fede alla parola “paura”. E con questo vogliamo concludere questo nostro articolo. Alla fin fine il tutto si basa sullo saper creare paura nel giocatore. Ma la paura è soggettiva, è innegabile. Quindi potrete essere d’accordo con noi oppure in disaccordo ed è un bene. Ognuno deve essere libero di esprime la propria opinione al riguardo. Ciò che conta alla fine è che sia il giocatore a divertirsi, spaventandosi o meno da un’opera. Detto questo vi salutiamo e auguriamo un buon halloween a tutti!