Metal Gear Rising Revengeance: la Recensione di VMAG

Il fan di Metal Gear classico che si approccia a questo spin-off, subirà subito una reazione polarizzata. Da una parte, l’esaltazione di poter rivedere nuovamente combattere Raiden, in un gioco che punta dichiaratamente a ricreare quella sensazione esaltata provata durante la spettacolare cutscene Raiden VS Gekko vista in Guns of the Patriots. Dall’altro, la mancanza di tanti, piccoli tocchi alla Kojima farà sentire il fan orfano della sublime caratterizzazione degli episodi regolari della serie. Revengeance è un Metal Gear senza Kojima, e si vede, a partire dal plot, un semplice pretesto per collocare Raiden all’interno degli infuocati campi di battaglia dove imperversa il fuoco delle PMC. Dimenticate quindi tutte le profonde analisi socio-politiche fornite dal Maestro, e persino il fatto che Raiden torni a combattere, dopo aver assistito al suo addio alle armi nel finale di Guns of the Patriots, suona come un’inevitabile forzatura. Ma, del resto, chi segue Metal Gear da lungo tempo non è nuovo all’esistenza di episodi spin-off, alcuni dei quali non canonici, per cui a voi la scelta di considerare o meno tale questo capitolo.

 

Ma Revengeance preferisce sicuramente l’azione al parlare, e quando si tratta di menare fendenti sul campo di battaglia stiamo parlando di uno dei migliori esponenti di questo genere. A differenza dell’ultimo DmC, Revengeance opta per la strada della punizione e il button mashing si rivelerà il più delle volte inutile. Ciò non vuol dire che con relativa facilità si possano eseguire delle azioni spettacolari: il modello di Raiden è elegante almeno tanto quello di Bayonetta, con animazioni allo stato dell’arte che lo mostrano danzare leggiadramente da un punto all’altro del campo di battaglia, reggendo la sua katana con i piedi o camminando in punta di tacco. Il balletto di morte di Raiden rende immediatamente Revengeance uno spettacolo ipnotico, da controllare tramite uno schema di tasti che non dà mai la sensazione di controllare automaticamente il personaggio. È qui che entra in scena l’idea più formidabile del gioco, ovvero la possibilità di controllare direttamente la spada con lo stick analogico, attivando un apposito trigger. Anche se è possibile lasciare che il gioco lo faccia in automatico, le vere soddisfazioni arrivano dal tagliare un gigantesco boss a fette per poi vederlo rovinare in mille pezzi al suolo. Aiuta anche il fatto che la gran parte delle superfici è completamente “affettabile”. Ma come dicevamo, si tratta di un gioco cattivello, per cui molta della sfida si basa sul giusto tempismo con il quale riuscirete a pararvi, e a contrattaccare il nemico. Anche perché la velocità globale del flusso di gioco è talmente elevata che un qualunque errore potrebbe risultare fatale. Allo stesso tempo, troppa esitazione e pensiero strategico, allontanandosi quindi di netto dalla serie principale, sono una delle principali cause di morte in Revengeance, che vi costringerà a pensare alla velocità della luce.

 

Ci sono alcune semplici sezioni stealth, è vero, ma la maggior parte del gioco si svolge come una lunga sequenza di azione senza soluzione di continuità, fluida, elegante e irresistibilmente magnetica. I nemici sono in effetti una delle migliori attrazioni del gioco, tanto dal punto di vista della caratterizzazione che del design, che pur non potendo contare sull’intervento diretto di Yoji Shinkawa ne riprende almeno l’essenza. Dove Bayonetta proponeva un mondo barocco, volutamente sopra le righe ma forse un po’ stucchevole per chi non fosse cresciuto ad anime e manga, Revengeance si limita a riprendere il set di Guns of the Patriots. I boss sono il perfetto tipo di spostati mentali geneticamente modificati che potremmo vedere in un qualsiasi altro episodio della serie, e affascina la ripresa di tematiche quali la via del samurai, applicata ad un contesto ipertecnologico. Se vedete anche voi più di un richiamo al leggendario Kyashan della Tatsunoko, state tranquilli: non siete i soli. A livello scenografico, Platinum Games ha messo in piedi alcune delle battaglie più pirotecniche della storia del genere action, dando sfogo alla fantasia proponendo scontri con mecha alti come palazzi, tanto per fare un esempio. Il gusto per momenti action ai limiti del ridicolo è un marchio di fabbrica di Platinum Games, ma del resto si sposa bene con un gioco dove, al di là di ogni riflessione proposta dal suo autore, scontri tra ninja e robot sono all’ordine del gioco. Anche perché Platinum Games riesce a fare un ottimo gioco di bilanciamento, che le permette di mantenersi sempre sopra le righe ma mai troppo da risultare inopportuna. Il figlio illegittimo di Kojima, nei confronti del quale anche l’originale patrono della serie sembra aver stemperato il suo atteggiamento, risulta alla fine un’opera divertente, lo stato dell’arte dell’action, che riesce sorprendentemente a rispettare il materiale senza sorgente proponendo allo stesso tempo una visione unica e personale di una delle serie più amate di tutti i tempi.